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Normative

Quando l’efficienza non basta: il decreto requisiti minimi e il comfort reale nelle case

Per molto tempo si è parlato di efficienza energetica delle abitazioni come di un concetto puramente tecnico, fatto di numeri, indici e formule. Una casa veniva considerata “virtuosa” se consumava meno, indipendentemente da come ci si viveva dentro. Oggi questa impostazione non è più sufficiente.

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Con l’aggiornamento del Decreto requisiti minimi, che rivede e amplia il quadro introdotto nel 2015, emerge un principio chiave: un edificio non è davvero efficiente se non garantisce comfort termo-igrometrico, assenza di muffe e condensa, qualità dell’aria interna e prestazioni stabili durante l’intero anno. Una casa che consuma poco ma è umida, genera aria stagnante o si surriscalda facilmente non risponde più ai requisiti minimi richiesti.

Per capire questo cambiamento basta leggere la parte introduttiva del decreto aggiornato: oltre alla necessità di contenere i consumi, il testo prevede esplicitamente che gli edifici debbano assicurare “benessere termo-igrometrico” e “qualità dell’aria interna”, due elementi che fino a pochi anni fa erano considerati accessori. Oggi rappresentano condizioni obbligatorie, al pari dei valori di trasmittanza o degli indici energetici.

Il comfort termo-igrometrico diventa un requisito normativo

La novità più interessante è che il decreto non si limita a suggerire, ma impone di verificare che un edificio non presenti rischi di condensa superficiale, condensa interstiziale e formazione di muffe. Non basta cioè limitare le dispersioni termiche: bisogna garantire che la temperatura delle superfici interne (angoli, pareti fredde, giunzioni strutturali) rimanga sufficientemente alta da evitare fenomeni dannosi per la salute e per la struttura. Questo aspetto viene verificato attraverso metodi di calcolo consolidati, che analizzano i punti critici dell’involucro, chiamati “ponti termici”.

Il decreto richiede anche che il comportamento dell’edificio venga valutato in estate. Non deve più essere una casa che “si difende bene” solo d’inverno: deve dimostrare che non si surriscalda in modo eccessivo, tenendo conto dell’irraggiamento solare, dell’esposizione, della ventilazione naturale e della capacità dei materiali di attenuare le oscillazioni termiche. Il rischio di surriscaldamento estivo, in altri termini, diventa un parametro da rispettare tanto quanto la dispersione invernale.

La qualità dell’aria entra ufficialmente nella definizione di efficienza

Una casa che disperde poco ma trattiene umidità, anidride carbonica o inquinanti interni non è più considerata efficiente. Per questo il decreto richiama la necessità di garantire ricambi d’aria adeguati, naturali o meccanici, e fa riferimento alle norme europee che definiscono i livelli minimi di qualità dell’aria interna.

Questo cambia radicalmente il modo di progettare: una finestra ben isolata non basta più se l’ambiente rimane sigillato e privo di ventilazione. E infatti, per essere conforme ai requisiti minimi, l’edificio deve dimostrare che la ventilazione, sia naturale che assistita, è sufficiente a mantenere aria salubre, umidità controllata e temperature stabili.

Ponti termici e muffe: da “difetto estetico” a non conformità normativa

Uno degli aspetti più concreti del decreto riguarda i ponti termici, cioè quei punti dell’edificio dove il calore fuoriesce più facilmente. Sono spesso gli angoli delle stanze, le giunzioni tra pareti e solai, il contorno delle finestre.

Nel passato questi difetti erano considerati semplici problemi costruttivi o cause di muffe difficili da gestire. Con il nuovo quadro normativo diventano veri e propri elementi di non conformità. Se c’è rischio di muffa, quell’edificio non rispetta i requisiti minimi. Il progettista deve quindi intervenire con soluzioni specifiche: isolamento mirato, correzione dei nodi, materiali più performanti, o in casi più complessi una riprogettazione del punto critico.

Per gli abitanti questo significa una cosa molto semplice: muffe e condensa non sono più “sfortuna”, “cattive abitudini” o problemi di arredo. Sono segnali di un edificio che non garantisce il comfort richiesto per legge.

Un esempio pratico: la camera da letto d’angolo

Immaginiamo una camera da letto con due pareti esterne. In inverno, gli angoli sono più freddi: l’aria umida della stanza entra in contatto con la superficie e condensa.

Secondo il nuovo decreto, questo non è più un inconveniente da gestire con pitture antimuffa o ricambi d’aria casuali. Se il progetto non mantiene la temperatura superficiale interna sopra il valore necessario a evitare la condensa, non rispetta il requisito di benessere termo-igrometrico. Dunque, bisogna correggere il ponte termico o migliorare l’isolamento del nodo. È un obbligo progettuale, non una scelta.

Cosa significa tutto questo per chi abita in una casa

La direzione è chiara: la casa efficiente non è quella che consuma poco “al computer”, ma quella che permette di vivere bene senza dover ricorrere continuamente a riscaldamento, deumidificatori, ventilatori o soluzioni tampone.

Il comfort diventa un diritto tecnico e normativo. La qualità dell’aria diventa un requisito misurabile. La prevenzione della muffa diventa una verifica obbligatoria. L’efficienza energetica non è più solo un numero: è un insieme di condizioni che devono essere garantite tutto l’anno.

Delania Margiovanni

Passione innata per il make up e per tutto ciò che concerne la bellezza e la cura del corpo. Elargire consigli è la mia prima missione, la seconda è quella di convertire le donne svogliate!!!

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Delania Margiovanni

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